• Marco LUPO

    La mia prima maratona

    8 aprile 2018

    Ho un film che mi scorre in testa: il viaggio in macchina con Sadi e Gabriele, il Colosseo illuminato dalle prime luci del mattino, la foto con gli altri della Runforever, la moltitudine di gente ai Fori Imperiali, i sampietrini della prima discesa verso il teatro di Marcello, i gruppetti di francesi, fra gli stranieri i più numerosi, che fanno un tifo sfegatato urlando “allez, courage”, un tipo con un cartellone con sopra una mano gigantesca e la scritta “energia extra” a cui molti, me compreso, danno il cinque, sperando sotto sotto che funzioni davvero, il ponte Settimia Spizzichino pieno di podisti che sembra un quadro, San Paolo, il gasometro, un gruppo di Spagnoli, i Danesi, quelli con la maglietta “arrivo, con calma ma arrivo”, il gruppo degli “spingitori di Fabrizio” che sono venuti con il loro amico in sedia a rotelle, Trastevere, dove incontro un compagno di squadra della Runforever, l’unico visto durante la gara, viste le combinazioni di onde e ritmi di gara, Testaccio il cuore di Roma, l’Isola Tiberina, luogo a me caro, San Pietro, dove una grande folla è dedita ad esperienze altrettanto mistiche, Prati, Canio che avrebbe dovuto trovarsi al 21esimo, è una certezza e sta proprio lì, il passaggio della mezza maratona, 1h48’, perfettamente in linea con il ritmo previsto, però che caldo che fa, sotto l’ombra degli alberi di viale Mazzini si sta bene ma fuori sul Lungotevere è dura, continuo a leggere le magliette di tutti quanti, mi chiedo da dove vengano, perché siano qui, uno sulla canottiera ha scritto 300, gli chiedo perché, mi sfida a indovinare ma non ci riesco, con le mie gambe legnose e incerte della prima maratona mi sembra impossibile averne fatte 300 come lui, sul ponte davanti allo stadio il caldo inizia a picchiare, sono solo 25 km e già si affaccia la voglia di camminare un po’, “chi te l’ha fatto fa’?”, recita uno dei tanti cartelli esposti lungo la via, ma fermarsi non si può, smetto di guardare l’orologio e inizio a contare, ogni numero due volte, fino a 100, e sono al villaggio Olimpico, la salitella prima di viale della Moschea sembra un muro, sono 30 km, devo camminare un po’, a piazza Mancini un pacemaker dice “Mario, vieniti a prendere la laurea da podista”, ha letto male il mio nome sul pettorale ma non fa niente, mi attacco al gruppetto, passo davanti al Circolo Canottieri Tirrenia Todaro, dove ho passato anni sui kayak, c’è uno con la canotta blu con un frase di Mennea, “La fatica non è mai sprecata: soffri ma sogni”, ed io soffro, cammino ancora, il sole brucia e l’unica ombra è un sottopasso del Lungotevere, sono in tanti a fermarsi, ma stringono i denti e ripartono, non si può mollare adesso, siamo oltre i 35, corro ancora e quando entro a piazza Navona eccolo il sogno, dopo piazza del Gesù c’è Milena a farci il tifo, Via del Corso sembra infinita, verso la fine provo a camminare ma le gambe fanno più male così che correndo, a Piazza del Popolo ancora in marcia, poi al rilievo cronometrico domando al tecnico a quanto siamo, lui dice 40, è un bugia, i 40 sono a piazza di Spagna, ma io ci ho creduto e corro di nuovo, e quando i 40 arrivano lo ringrazio di avermi ingannato, davanti al Bar Canova un gabbiano ha rubato il cibo dal piatto ad un turista che però la prende con filosofia, c’è un messicano davanti a me, “¡Que viva México!” gli grido, un ragazzo ha la canottiera rossa con sopra Sorcio Secco, il personaggio di Pupazzo Criminale, con la sua frase “nun me quadra”, come non mi quadra questo tunnel in salita, pieno di sampietrini bagnati da un tappeto di spugne, impossibile correrlo, lo salgo a piedi ma all’uscita sono 41 e volo giù per la discesa, c’è la mia famiglia a farmi il tifo, a piazza Venezia un benefattore si è messo davanti a una grossa buca che potrebbe essere fatale ai podisti ormai ben poco lucidi e fa segno di passare di lato, ed ecco l’arrivo, la forza torna nella gambe, supero anche qualcuno, passo fra due centurioni e taglio il traguardo della mia prima maratona. Lancio un urlo di gioia. Sono passate 4 ore e 6 minuti dalla partenza, forse troppe, più probabilmente troppo poche per metabolizzare tutte queste emozioni indelebili. La mia prima maratona.

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